Con questo articolo vogliamo continuare la serie sullo storytelling e condividere contenuti che possono ispirarci e allargare il nostro orizzonte.
Oggi allora vogliamo riportare un’intervista fatta da Michael Bertolasi al fotografo Enzo Dal Verme, intervista che ci ha molto emozionati e stimolati. Link all’intervista integrale: https://www.youtube.com/watch?v=VmxHjYKrbr0
Enzo Dal Verme si definisce un “manovale dell’informazione”. È adorabile l’approccio genuino che ha verso le cose. Vi si approccia con la purezza e l’entusiasmo di un bambino.
Ecco la sua riflessione.
«Il fotogiornalismo va sostenuto. Ci sono fotografi che vanno a scavare nel marcio, a portare alla luce i problemi. Il fotogiornalismo è inchiesta, è sacro. Io invece non sono un fotogiornalista: la mia attenzione è spostata sulle soluzioni, non sui problemi. Quando c’è un problema, c’è sempre qualcuno che alla fine trova una soluzione, un’innovazione, qualcuno che ha un’idea. E da lì è nata una serie di reportage che ho fatto in giro per il mondo. Sono ritratti con interviste, non proprio dei reportage. Perché nasco scrittore e ho lavorato per i giornali.
La serie di articoli si chiamava “gli eroi urbani” ed è nata da una mia curiosità. Cioè sapevo che il mondo lo cambiavano le guerre, l’economia, le pandemie… tutte quelle cose grandi ma io sospettavo che ci fosse un’altra cosa che cambia il mondo: le scelte quotidiane di ogni persona piccola piccola. E soprattutto che ci sono alcune persone che non seguono le mode, non seguono le tendenze ma seguono, diciamo, il proprio cuore, un’ispirazione, un proprio progetto, la propria “passione”, il proprio entusiasmo. E così sono andato a cercare queste persone.
[Questo pensiero ci ricorda una frase bellissima di Steve Jobs:
“Ai folli. Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, ai pioli rotondi nei buchi quadrati, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso e che non amano le regole. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero.”]
Ogni mese pubblicavo una storia su una città diversa. E ho conosciuto della gente che… al ricordo mi commuovo. Gente fantastica che non ha niente e con un’idea realizza una cosa grande. Anche gente ricca, ma le persone più innovative sono quelle che non hanno niente.
Per esempio, in Sud Africa ho conosciuto una contadina speciale che, senza soldi, inventandosi dei modi per farli, è riuscita a creare un orto per dare da mangiare ai bambini che muoiono di fame. Era questo il suo sogno. Un orto in una zona in cui il terreno è pietroso! Ci è riuscita e così ho raccontato ogni passaggio della sua storia.
Ha cominciato a togliere le pietre dal terreno, cercando di renderlo coltivabile. Per cui la gente la prendeva in giro. Poi ha dovuto cercare i soldi per comprare i semi. Mille peripezie e tentativi falliti per trovare le risorse economiche. Ma, quando l’ho conosciuta, dava da mangiare a 200 bambini al giorno.
Io ero molto contento di riuscire a scovare queste storie e raccontarle nei giornali più “cretini” possibili: i giornali di moda, che tu li apri e ti dicono: comprati queste scarpe e sarai felice, comprati questo rossetto e sarai felice… Poi io mi immaginavo il lettore che scorreva le pagine tra un Gucci, un Prada e si ritrovava nella storia di quella contadina speciale. E penso che almeno qualcuno sia stato “toccato” dalle mie storie e magari ha pensato: di scarpe ne ho tante, sosteniamo un po’ questa qua… oppure c’è una storia simile vicino a casa mia.
La mia soddisfazione era poter ispirare le persone che leggevano le mie storie, infilate in un giornale di moda in un modo così sovversivo. Entravo in un giornale di moda che diceva “consuma, consuma che sarai felice” e io gli dicevo “guarda, qui c’è un’altra storia”.
In fondo, la fotografia di moda rende appetibile qualcosa di cui non si ha bisogno, per cui uno compra, spreca, inquina. Morale della favola: fame eterna. Compri, e poi compri ancora, e poi hai ancora fame e compri. Ma comprare non ti rende felice.
Quindi, mi sentivo anche in colpa quando facevo moda. Tuttavia, la moda è qualcosa che ha talmente tanti soldi che ti permette di progredire molto a livello fotografico. Anche se lì non vedevo la vita vera, volevo misurarmi con quella roba lì e crescere creativamente. Ma non sono diventato un fotografo di moda.
Cos’è più importante per la carriera di un fotografo? La creatività, la tecnica, l’opportunità o l’esperienza?
I non professionisti dicono: “la creatività”.
I professionisti dicono: “le opportunità”. Perché quando hai creatività ma non hai tecnica, puoi lavorare con un assistente che ne ha; quando hai tecnica ma non hai creatività, puoi diventare un fotografo che esegue e c’è bisogno anche di questo tipo di fotografo che non ci mette del “suo”, fotografi che lavorano per agenzie pubblicitarie dove trovano un art director e diventano esecutori molto tecnici, anche molto bravi.
Però, se non hai opportunità, di tutto il resto non te ne fai niente, perché hai bisogno di un ambito in cui esprimere il tuo talento. Non si tratta solo di qualcuno che ti paga.
Hai bisogno di un media. In passato, il media era il clero e la nobiltà che sostenevano gli artisti. Essi davano loro da vivere ed esponevano le loro opere. Poi si è aggiunta la borghesia. E oggi c’è la moda, la pubblicità, l’editoria.
Sono gli ambiti in cui ti è possibile: creare, crescere, confrontarti con un team di altri professionisti che, volente o nolente, ti insegna qualcosa. Si tratta del direttore, del capo redattore, del photo editor, dell’art director ecc.
Questo tipo di media però è sempre più inaccessibile e più debole. Non è così facile lavorare con i giornali di moda perché c’è una crisi dell’editoria pazzesca.
Però ci sono i social media. Questi ti danno la possibilità di condividere. Ma parliamo di semplici like. Finisce tutto lì.
Non c’è paragone. Non c’è tutto quello che per me c’è stato nella redazione, dove hai la possibilità di crescere, sbagliare, essere indirizzato dagli altri professionisti, farti conoscere.
Manca poi una cosa fondamentale: “lo scopo”. La fotografia è un linguaggio. Uso la fotografia per raccontare una storia, far conoscere un prodotto, illustrare un’intervista, far capire il carattere di una persona… La fotografia è un mezzo, un linguaggio che mi aiuta a comunicare qualcosa.
Su Instagram, per la maggioranza delle persone, c’è apparenza, forma ma non sostanza. “Guarda come sono bravo!”. È un linguaggio fine a se stesso.
Mancano allora dei media per far crescere i fotografi. Manca il confronto con altri professionisti che ti fa crescere e sperimentare.
Molti dicono: devo fare questa foto perché è da “Instagram”. Devo postarla. Se lo scopo della foto è Instagram, il linguaggio è fine a se stesso.
Un altro mio progetto è la serie “Ritratti in silenzio”. E qui c’è “la fotografia come ricerca personale che diventa una serie e poi una mostra”.
Quando fotografo le persone, esse cercano di mostrarmi il loro lato migliore. Il che non è da biasimare, perché quella foto deve rappresentarli. Allora, mentre fotografo cerco di distrarli, parlando. In questo modo viene fuori il lato che nascondono (dietro la sicurezza c’è spesso l’insicurezza, e così via).
Ma io credo che non siamo né quello che vogliamo mostrare né quello che vogliamo nascondere. E dietro tutto questo c’è qualcosa di ancora più profondo. È lì che voglio arrivare. Ecco i ritratti in silenzio. E a volte tra le tante foto che scatto a quella persona viene fuori quel sé più profondo.
Il soggetto cerca di sedurre la mia macchina fotografica, ma quella roba lì per me è poco interessante. Cerco di distrarre il soggetto finché non mi fa vedere quello che c’è dietro la sua maschera sociale. Implicito in quello che vuole farmi vedere, c’è quello che mi nasconde. Per cui una persona che vuole farsi vedere molto sicura di sé stessa, molto spesso, come la si distrae un po’, mostra la sua insicurezza.
Però non sono ancora contento. Perché una persona non è né quello che vuole far vedere, né quello che vuole nascondere. C’è qualcosa di più profondo. Ci sono tanti strati, no? E quando riesco a fotografare una persona distraendola da quello che vuole farmi vedere e andando oltre quello che vuole nascondermi, quello che vedo è ciò che chiamo il silenzio, una pace, qualcosa che è sotto tutti questi rumori mentali: come appaio, come non appaio, così vado bene, così no ecc. E questo si vede in quegli scatti dove la persona appare rilassata, neutrale, con uno sguardo sicuro, sereno.
Quando riesco a fotografare quel silenzio che tutti noi abbiamo dentro, anzi che tutti noi siamo, è lì che non mi sento più un manovale dell’informazione ma sento di usare il mezzo fotografico in un modo molto soddisfacente per me. E ogni volta è una sfida, perché ogni persona è diversa.
Bisogna essere molto presenti per fotografare. Fotografare è una sorta di meditazione attiva. E bisogna essere nel presente quando si fotografa.
Quali sono le conseguenze del fotografare?
Quando fotografavo gli eroi urbani sapevo che avrei possibilmente ispirato qualcuno.
Quando fotografo la moda so che la conseguenza è che qualcuno si compra una roba inutile. Allora, come fotografo mi devo chiedere: qual è il contributo che io do nel mondo. Cosa faccio della mia capacità di fotografare? Quindi, alcuni lavori mi pesano, eticamente, ma bisogna pagare le bollette. Tendenzialmente però cerco di eliminare quella roba lì e fare cose che hanno una buona influenza sulla comunità, su chi legge.
E bisogna preparare il terreno. Poi, dopo averlo preparato, la foto “accade”. È una magia.»
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Ecco, non c’è molto da aggiungere a questa bellissima intervista. Anzi, abbiamo preferito riportarla senza troppe interferenze con il solo scopo di vederla circolare, in modo che parli alla nostra passione e al nostro cuore.
Vogliamo solo chiudere dicendo che questa profonda riflessione porta con sé anche un invito all’azione, cioè l’invito a portare avanti progetti personali e ricerche. Perché in essi viene fuori la nostra unicità, la nostra personalità, i libri letti, i viaggi fatti, i film visti… Perché con essi possiamo comunicare e parlare il linguaggio della fotografia.
A livello molto pratico, inoltre, possiamo tenere da parte queste ricerche in vista della partecipazione a concorsi e mostre personali. Si può sempre incrociare un curatore che sta cercando cose nuove da esporre.
Visita il sito di Enzo Dal Verme: https://www.enzodalverme.com/
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